L’affaire Galaxy Note 7 è solo l’ultimo di una lista discretamente lunga. La causa sta nell’instabilità delle batterie agli ioni di litio
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Sono tornate prepotentemente – esplosivamente, verrebbe da dire – alla ribalta a cavallo tra fine settembre e inizio ottobre 2016. Nel giro di poche settimane diversi esemplari di Samsung Galaxy Note 7 e iPhone sono andati in fiamme a causa di malfunzionamenti della batteria. Il surriscaldamento dei circuiti interni ha reso instabile l’accumulatore, che è finito per esplodere provocando così dei piccoli incendi.
La batteria esplosa del Galaxy Note 7 e degli iPhone, però, è solo l’ultimo esempio di una storia lunga decenni. Le batterie agli ioni di litio, infatti, sono note per la loro instabilità e la loro predisposizione a surriscaldarsi e per questo devono essere maneggiate e conservate con cura. Il rischio, come accaduto ai possessori dei telefonini incriminati, è che queste finiscano con l’esplodere, provocando danni a cose e persone. Ecco come e perché può succedere e come comportarsi nel caso di un incidente domestico.
Come funzionano le batterie degli smartphone
Nelle batterie utilizzate da smartphone, tablet e altri dispositivi mobili la carica elettrica è trasportata – come suggerisce anche il loro nome – da un elettrodo all’altro sfruttando gli ioni di litio (metallo molto leggero utilizzato principalmente nelle leghe conduttrici di calore). All’interno degli accumulatori, in particolare, l’energia è accumulata, trasferita e rilasciata per mezzo di reazioni chimiche naturali.
La batteria agli ioni di litio ha due elettrodi, un anodo e un catodo: il primo è collegato al polo positivo e “conserva” gli ioni con carica positiva; il secondo è collegato al polo negativo e “conserva” gli ioni con carica negativa. Tra i due elettrodi troviamo l’elettrolita, una sostanza chimica che subisce la suddivisione delle molecole in ioni e per questo è definito un conduttore ionico. Nelle batterie degli smartphone e dei dispositivi mobili l’elettrolita è una pasta di solvente organico con al proprio interno sali di metallo (in questo caso, ovviamente, sali di litio).
Quando si utilizza il cellulare, l’anodo “espelle” gli ioni positivi che, passando attraverso l’elettrolita, finiscono con l’essere attratti dal catodo carico negativamente. Qui l’elettricità fluisce verso l’interno, verso le componenti hardware dello smartphone, per poi terminare la loro corsa nuovamente all’interno dell’anodo. Insomma, le cariche elettriche fluiscono all’interno di un circolo e, nel loro “cammino” alimentano la circuiteria interna del telefonino (o di qualunque altro dispositivo mobile) rendendo così possibile il suo funzionamento.
Quando si ricarica la batteria accade l’esatto contrario: la carica elettrica fluisce dal catodo verso l’anodo, consentendo così al sistema di ricaricare gli ioni “scarichi”. La corrente elettrica dell’impianto di casa fa sì che all’interno della batteria avvenga una reazione di ossidoriduzione che consente di liberare elettroni all’interno dell’elettrolita e ricaricare gli ioni di libero. Questa reazione chimica avviene di continuo, sino a che nella batteria non sono più presenti ioni “liberi” pronti ad attirare gli elettroni presenti nell’elettrolita.
Perché la batteria esplosa va in fiamme?
Il sistema appena descritto resta in costante equilibrio sino a quando non interviene un fattore esterno a disturbarlo. In questo caso i sali di litio, estremamente volatili e suscettibili ai cambiamenti di stato, possono reagire con ciò che li circonda (il metallo dei contatti della batteria, ma anche con l’aria dell’atmosfera) provocando delle reazioni chimiche tutt’altro che piacevoli.
Se la pressione all’interno della batteria dovesse salire e l’involucro non dovesse resistere, l’elettrolita presente al suo interno fuoriuscirebbe in maniera esplosiva e, viste le alte temperature raggiunte a seguito delle reazioni chimiche avvenute, provocherebbe un piccolo incendio, bruciando oggetti, cose e persone nelle sue immediate vicinanze.
Perché la batteria del Galaxy Note 7 è esplosa? Due le possibili ragioni: sovraccarico (e conseguente surriscaldamento) o per danno fisico.
Surriscaldamento della batteria ioni di litio
Nella gran parte dei casi la batteria esplosa è da addebitare al surriscaldamento della pasta dell’elettrolita causata da un malfunzionamento del sistema di ricarica. Anziché stopparsi automaticamente una volta che tutti gli ioni di litio hanno assunto una carica elettrica, il processo di ossidoriduzione continua senza sosta. Ciò provoca il surriscaldamento di una parte della batteria che, come in una reazione a catena, porterà a surriscaldarsi anche altre parti dell’accumulatore in quello che è conosciuto come runaway.
A meno che non intervengano fattori esterni (qualcuno che stacchi la presa della corrente o spenga il dispositivo elettronico), le reazioni all’interno dell’elettrolita continueranno, sino a che non si genererà del vapore caldo all’interno dell’involucro, fino ad arrivare all’esplosione. La forza dirompente dello scoppio è molto più forte di quanto si possa pensare e, soprattutto, è accompagnata dalla fuoriuscita dei fluidi della pasta dell’elettrolita, ormai incandescente.
Danneggiamento fisico
Le batterie agli ioni di litio sono progettate e realizzate per essere leggere, capaci di caricarsi velocemente e rilasciare una carica elettrica sufficiente ad alimentare dispositivi di varie dimensioni. Per mantenere il peso a un livello più basso possibile, sia l’involucro esterno sia le parti strutturali interne sono estremamente sottili e facilmente danneggiabili. Nel caso in cui la struttura interna dovesse danneggiarsi e i due elettrodi venire a contatto si genererebbe un cortocircuito capace di generare una scarica elettrica molto forte. Da qui in avanti la strada verso il disastro è di fatto spianata: la forza esplosiva della scarica provoca il surriscaldamento dell’elettrolita che, nel giro di pochi istanti, diventerà incandescente e altamente infiammabile.
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