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Teorizzata da Archimede qualche migliaio di anni fa, la fibra ottica trova la sua prima applicazione a metà del ‘900 con la realizzazione del gastroscopio ottico. Vediamo cos’è e come funziona.
Con il termine fibra ottica si fa riferimento alla tecnologia e al mezzo per la trasmissione di informazioni attraverso impulsi di luce lungo un filo o una fibra di plastica o vetro. Il mezzo utilizzato per il passaggio è un sottilissimo cavo, il cui diametro è di 125 nanometri, più piccolo di quello di un capello umano. Al suo interno viene fatto “rimbalzare” un raggio o impulso luminoso il cui compito è quello di trasportare informazioni tra i due capi del filo. Quali sono i vantaggi della fibra ottica? La capacità di trasportare una quantità di informazioni nettamente superiore rispetto ai normali cavi in rame, l’immunità rispetto ai disturbi elettromagnetici e alle condizioni meteo più impervie. Per questo trova applicazione nelle telecomunicazioni, nell’illuminotecnica e in ambito medico.
I principi della riflessione ottica utilizzati attualmente in questo campo vennero teorizzati da Archimede nella sua Catottrica del III secolo a.C.. La prima vera applicazione, però, si ebbe a metà del XX secolo per la trasmissione a distanza di immagini. Venne così sviluppato il primo gastroscopio a fibra semi-flessibile a opera di Basil Hirschowitz, C. Wilbur Peters e Lawrence E. Curtiss. Negli anni successivi, la comunità scientifica internazionale si impegnò nello sviluppo di tecnologie per l’attenuazione del rumore, ossia dei segnali indesiderati che si sovrappongono a quello utile. Nel campo delle telecomunicazioni, per rumore si intende una forma di energia indesiderata che si somma al segnale utile degradandone il contenuto informativo, ed impedendo così di rilevare, in ricezione, tutto l’insieme delle informazioni trasmesse. Come quando, ad esempio, nel corso di una conversazione telefonica un disturbo provocato da un problema tecnico ci impedisce di cogliere il senso delle parole del nostro interlocutore. L’obiettivo di riduzione del rumore fu raggiunto solo quando si riuscì a ridurre l’entità del rumore al di sotto dei 20 dB (decibel) per chilometro, permettendo alla fibra ottica di poter essere utilizzata per il trasporto di grandi quantità di informazioni su larga scala e su lunga distanza.
Nel 1970 venne realizzato il primo filamento di fibra con un parametro di rumore di soli 17 dB. In che modo questo è stato possibile? Attraverso un procedimento che, in gergo tecnico, si chiama “drogaggio” e che in questo caso ha riguardato il silicio, lo stesso utilizzato anche per il comune vetro da finestra, che è stato appositamente drogato con titanio. A inizio anni ’90 la tecnologia della fibra ottica conobbe un ulteriore passo in avanti: l’utilizzo dei cristalli fotonici (cristalli nei quali la propagazione dei fotoni è simile a quella degli elettroni) permise di realizzare dei mezzi di comunicazione ancora più performanti. I cristalli fotonici permettono di trasportare un’energia maggiore rispetto alle versioni di fibra ottica precedenti, il che corrisponde direttamente a un aumento nella quantità di dati trasmissibili per unità di tempo. Non solo. Le informazioni possono essere trasferite anche su differenti frequenze d’onda contemporaneamente, così da permettere di adattare la tecnologia della fibra ottica a diversi utilizzi.
Un singolo filamento di fibra ottica è formato da due sezioni concentriche realizzate con materiali trasparenti estremamente puri e di diametro diverso. Queste due sezioni possono essere realizzate sia in vetro sia in polimeri plastici: la prima tipologia può presentare diametri anche molto piccoli, ma è molto fragile, suscettibile al piegamento e quindi difficile da gestire; la seconda tipologia, invece, ha maggiori proprietà elastiche legate, però, a un diametro maggiore. La sezione cilindrica più interna, detta anche core (“nucleo”, in inglese), ha una grandezza variabile tra gli 8 e i 50 nanometri in base alla tipologia di fibra utilizzata (monomodale, la più sottile, o multimodale, la più spessa) mentre quello più esterno, detto cladding (“rivestimento”, in inglese), ha un diametro fisso di 125 nanometri e un indice di rifrazione minore rispetto al core. Ad avvolgere questi due componenti troviamo due ulteriori strati concentrici: il primo, più interno, è detto buffer (“cuscinetto”, in inglese) mentre il secondo, più esterno, è denominato jacket (“rivestimento”, in inglese), sono realizzati solitamente in polimeri di plastica e servono a rendere il cavo di fibra ottica resistente agli stress fisici e alla corrosione.
La fibra ottica funziona come una specie di specchio tubolare. Sfruttando la differenza di indice di rifrazione della luce tra il core e il cladding (tipicamente 1,5 nel nucleo contro 1,475 nel rivestimento), l’onda luminosa che entra nel core con un certo angolo, detto angolo limite, viene totalmente riflessa verso l’interno della fibra quando raggiunge la superficie di separazione tra il nucleo ed il rivestimento. All’interno della fibra, la luce può propagarsi in modo rettilineo oppure tramite un numero molto elevato di riflessioni e quindi di rimbalzi tra una parte e l’altra della superficie di separazione tra le due sezioni concentriche. In parole più semplici è come avere uno specchio e avvolgerlo su se stesso, fino a che non si ottiene un tubo. La luce si propaga all’interno di questo tubo rimbalzando da un estremo all’altro della superficie come se fosse intrappolata al suo interno. Questo permette di far viaggiare l’impulso luminoso su distanze lunghissime, senza interferenze e senza che l’impulso stesso si disperda all’esterno.
Al momento esistono due differenti tipologie di fibra ottica: la fibra monomodale e la fibra multimodale. In quest’ultima il segnale luminoso si propaga in diversi modi, seguendo cioè diverse traiettorie, il che permette una maggiore “portata”, ovvero una maggiore potenza di segnale trasportato, rispetto alla sua controparte monomodale.
La contropartita è che questa tipologia di fibra è soggetta al fenomeno della dispersione intermodale, ovvero all’effetto per cui un singolo impulso luminoso si sfalsa nel tempo, disperdendosi, a causa del fatto che ogni traiettoria (modo di propagazione) che la luce percorre al suo interno può avere lunghezze diverse, e quindi tempi di percorrenza diversi. I tempi di percorrenza dei vari fasci luminosi saranno quindi differenti e il trasporto dei dati potrebbe subire sfasamenti temporali anche sensibili.
La fibra monomodale, invece, permette la diffusione del segnale luminoso su distanze più lunghe, perché la propagazione può avvenire solamente in un unico modo, ad esempio in linea retta. In questo modo il fascio di luce arriverà a destinazione più in fretta perché la dispersione intermodale sarà praticamente nulla. Ciò, però, comporta un aumento dei costi dovuti a differenti tecnologie di produzione e differenti tecniche di trasmissione dei dati.
Queste caratteristiche rendono la fibra ottica il mezzo di trasporto ideale nel campo delle telecomunicazioni. Mentre in un cavo di rame (quello del normale doppino telefonico) i dati vengono trasmessi dagli elettroni in modo caotico e dispersivo, in un cavo di fibra ottica il trasporto delle informazioni è affidato a un singolo fascio luminoso che non subisce alcuna interferenza dal mondo esterno. Una connessione basata sulla fibra ottica non conosce quindi degradazione apprezzabile del segnale sulle lunghe distanze (la velocità della connessione non diminuisce all’aumentare della distanza dalla centralina telefonica) ed è in grado di sfruttare uno spettro di bande di frequenza (ovvero un intervallo di lunghezze d’onda e di frequenza delle radiazioni elettromagnetiche definito da un valore superiore e uno inferiore) molto più ampio, permettendo di raggiungere velocità molto più elevate.
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